“Povera ma pulitina, ma ammodino, passa e ripassa per via, con quei saltellini, e da un fosso all’altro, di buco in buco, va a dar le sue lezioni a un tanto all’ora.

J. Renard – Histoires naturelles – 1896

LE DONNOLE DELLA STORGA

Le donne che hanno sofferto all’ospedale psichiatrico di Sant’Artemio arrivavano da terre povere, paesaggi grigi, famiglie numerose, lunghe strade fangose; erano vestite con abiti vecchi e rammendati qua e là, rattoppati con pezze scure, come grigi arlecchini. “Le donne della Storga” le chiamavano, perché tutte avvertivano il richiamo dell’acqua e si affacciavano alla Storga, al fiume virgineo che scorreva tra i campi coltivati dove esse lavoravano… avevano gli occhi lucidi, limpidi e trasparenti, come le acque del fiume, ecco perché le chiamavano ”Le donne della Storga”, avevano qualcosa di nascosto eppure evidente le donne della Storga… qualcosa di celato dietro un velo trasparente d’acqua… un sogno grande e bellissimo: questo avevano le donne che hanno sofferto a Sant’Artemio.

Tutti sapevano, nessuno capiva.

Il bosco intorno attutiva i passi leggeri delle donne che, nell’avanzato pomeriggio, si addossavano alla rete metallica piena di foglie secche, vitalba ed edera che la trasformavano in un muro impenetrabile oltre il quale scorreva il fiume. Qualcuna aveva tentato di baciare il fiume per annegare nel proprio amore… perché di amore avevano gli occhi pieni le donne della Storga.

Alcune avevano subito grandi delusioni amorose, erano state abbandonate, erano vedove, illuse da innamorati che poi se n’erano andati; altre, molto tristemente erano state abbandonate dal papà e dalla mamma, orfane, rapite dalla confusione della guerra… tutte, tutte erano accolte da regali corone di edere e caprifogli profumati come solo il bagno delle regine prevedeva, un profumo dolcissimo che scioglieva ogni dolore, ogni incubo, ogni prossimo problema da risolvere. Il bosco accoglieva ed accoglie chiunque lo visiti, chiunque entri nelle sue segrete stanze.

Le donne della Storga conoscevano il segreto delle piante e per questo parlavano il segreto alfabeto del silenzio.

*

La più anziana diceva alle più giovani, arrivate da poco col treno alla stazione di Treviso o di Lancenigo: “Non vi preoccupate, care amiche: qualsiasi e dico qualsiasi cosa abbiate perduto o vi abbiano rubato, alla Storga la ritroverete, intatta e più bella che mai!”.

La Storga mette insieme le sorelle ed i fratelli; la Storga affratella, avvicina chi è lontano, ricompone ciò che è disgregato, ricostruisce ciò che è distrutto. Sorella Stroga, la chiamavano le donne che hanno sofferto all’ospedale psichiatrico di Sant’Artemio.

*

E la notte, la notte, quando la luce fa sentire la sua mancanza, il suo calore; quando non ci vediamo, ma ci sentiamo, ci ricordiamo; la notte, nella zona oscura della Storga, dove l’acqua si esalta in balze d’argento e oro, senza calore, in freddi entusiasmi di onde e cascate, in guizzi di trote preda d’entusiasmi intraducibili; quando dalle case abbandonate sentiamo gli sbadigli degli alberi che le abitano, il russare dei fantasmi stanchi, quando, quando, quando… ecco le donne che hanno sofferto al Sant’Artemio che le accoglieva trasformarsi in liquide donnole, in minime virgole di pelo ed occhi, e respiro, e gioia e voglia di ballare tutte insieme…

Ed è così che un contadino della zona, tale Duilio Merlotto, fece scrivere nel verbale sottoscritto con una ics gigante che una notte, mentre rientrava a casa dopo il lavoro e l’osteria, era stato attirato dal gran trambusto, dai cori, dalle luci che si sprigionavano dal lato oscuro della Storga che parva una colata di un vulcano o una grande, grandissima sagra paesana, o un circo, di quelli che accoglie tutti, basta che paghino il biglietto o anche no… l’importante è lo spettacolo!

“La luce soprattutto, la luce”, riportò nel verbale, “sembrava arrivare da un altro pianeta, sembrava ciò che non era”… ed avvicinandomi, sporco, del color della terra e delle foglie, disse il contadino dalle sue testuali parole… “Vidi una nuvola di piccole bellissime, semiliquide donnole avvicinarsi alla sponda della Storga, sporgendosi spavalde sul corso argenteo del fiume che si inoltrava nella notte. Le donnole si arrampicavano sui rami sporgenti, si esponevano, si sbilanciavano… qualcuna cadeva nell’acqua, squittendo… e ne usciva, rabbrividendo, tra le risate delle compagne… cosa volevano fare questi piccoli mammiferi? … Volevano specchiarsi sulle acque frantumate della Storga, sui cocci di un piccolo fiume… perché? Perché. Appena riuscivano a specchiarsi, il fiume restituiva loro la forma e l’età che desideravano, le trasformava in tante bellissime giovani donne che si lavavano i capelli nell’acqua corrente e si accarezzavano una pelle liscia e bianca come la neve, così some doveva essere… il fiume conservava la loro vera immagine e la restituiva ogniqualvolta era necessario: quando qualcuna di loro stava male e non si ricordava più perché stare a questo mondo sia la cosa più bella del mondo….