per Andrea e Piero

L’ORSA DELLA STORGA

Grandandrea Barbonchio e Pieraltro Matanto, sono le due guardie che proteggono gli animali di tutta la nostra Provincia ma soprattutto quelli che trovano ospitalità e riparo presso il Parco della Storga. Il loro è un lavoro molto duro che spesso li porta anche a vivere delle situazioni scomode e al limite del pericolo. La loro giornata inizia sul fare dell’alba, quando le cince ricamano l’aria di dolci merletti canori e le lepri, attardatesi sulla radura, si scrollano la rugiada di dosso balzando veloci nel folto del bosco. Fino a sera, quando torna l’oscurità e gli animali ritrattisi dalla luce solare ricompaiono sulla scena del prato, i nostri guardiani compiono il loro dovere, imperterriti, sempre dalla parte degli animali. Tra le mille e più storie che avrebbero da raccontarci, quella che segue è sicuramente la più straordinaria.

Un giorno, Grandandrea era stato chiamato più volte a prestare la sua opera in difesa di un tasso finito dentro una botte di vino raboso ed uscitone in evidente stato di ebrezza e che pretendeva di ballare con la moglie del cantiniere; era stato poi impegnato nello spiegare a dei bracconieri l’assurdità delle loro azioni contro animali che, come tutti gli esseri viventi, svolgono una vitale funzione ecologica. Era poi stato coinvolto in un lavoro di pulizia profonda di una stanza del Centro Recupero Animali Selvatici nella quale un cigno aveva avuto un temibile attacco di dissenteria… Ma finalmente la giornata era finita ed ora la nostra eroica guardia dormiva stesa sul divano disposto in ingresso. La sua stanchezza era tale da provocare un sonno profondo che sfociava in un russare degno di un vulcano… le pareti vibravano e gli uccellini in gabbia si aggrappavano ai posatoi cercando di mantenere l’equilibrio.

Pieraltro aveva cercato di limitare il disagio provocato da quel fortissimo rumore ponendo di fronte al viso pacioccoso di Grandandrea un piccolo parrocchetto scappato da chissà dove il quale imitava alla perfezione lo schiocco di un bacetto in moda da interrompere, almeno per qualche minuto, il frastuono del respiro. Ma non erano gli unici a sentire quel russare… a poca distanza dalla Storga passa una linea ferroviaria che porta alla città di Treviso. Per una coincidenza fortuita in quel momento passava un treno merci proveniente dall’Est. Per un guasto allo scambio automatico, il convoglio si fermò proprio all’altezza del grande parcheggio della Provincia. I vagoni avevano solo delle piccole finestre sulla parte superiore della fiancata, chiuse da sbarre; c’era un silenzio irreale… ma cosa trasportavano? Chi lo sa… ma il riverbero del gran russare della nostra guardia giungeva forte e chiaro fin là, facendo vibrare i cardini dei portoni dei vagoni… d’un tratto, da uno dei vagoni si avvertì un colpo forte, un tonfo sordo… poi un altro… si vide la fiancata scossa da un urto tremendo, poi un altro, un altro ancora… fino a che il portone scorrevole cedette… alta, ergendosi sulle zampe posteriori, lo sguardo fiero, le labbra tese come a scoccare un bacio era uno splendido esemplare di orso femmina. Alzando lo sguardo alla luna,  tendendo l’orecchio del finissimo udito al forte russare di Grandandrea, annusando l’aria del suo alito, essa tese le sua gibbose zampe e urlò: “ARRIVO AMORE!!!”

*

Il bosco della Storga era oramai immerso quasi totalmente nell’oscurità. Una volpe stava vagando in prossimità del Lago senza Nome in cerca di una pista per qualcosa da mangiare quando… un’orsa gli attraversò la strada, facendo tremare il terreno intriso d’acqua come una fetta di tiramisù. L’orsa seguiva infallibilmente le vibrazioni del russare prodotto dall’ignaro Grandandrea, immerso in sogni di vacanze e relax, lontano da animali in difficoltà ed umani scarsamente comprensivi. L’orsa si avvicinava; strada facendo aveva raccolto dei fiori forse per omaggiare quello che pareva essere incredibilmente diventato il suo grande amore.

Per fortuna, a sorvegliare il Centro Recupero Animali Selvatici era l’indomito Pieraltro che pattugliava silenzioso lo spazio antistante l’ingresso. Immaginate la sua espressione schietta e sanguigna allorquando, dopo un rombare inspiegabile ed un apparente terremoto, vide pararsi dinnanzi a sé uno splendido esemplare di orso femmina con un mazzo di fiori nella zampa. Il parrocchetto si era addormentato e fremeva nelle sue piume ogniqualvolta Grandandrea pareva segare una foresta intera con un solo respiro. Riavutosi dallo sgomento, Pieraltro comprese subito la situazione, soprattutto quando l’orsa, spalancata la porta d’ingresso, si era adagiata di fianco all’ignaro Grandandrea e tendeva il muso dal naso umidissimo pronta a quello che noi chiameremmo bacio d’amore. La cose si stavano mettendo male…

Fu allora che il genio di Pieraltro si rivelò ancora una volta in tutto il suo valore: con la sua voce nasale, intonò una delle più strazianti ninnenanne mai concepite sulla faccia della Terra. Con molta calma si sedette in fianco all’amico addormentato e di fatto frapponendosi al muso teso dell’orsa dal collo della quale pendeva una targhetta che dava il giusto luogo ove il povero animale era stato rapito. Dopo qualche secondo il grande plantigrado addirittura ringhiò per gelosia, spandendo un po’ di saliva per terra, ma subito dopo ebbe un’espressione più rilassata, via via sempre più serena, fino a… addormentarsi come un sacco di patate. Il grande Pieraltro iniziò a pungolare con un aculeo d’istrice il suo compagno steso nei più profondi fondali del sogno. Quando, dopo circa dieci punture Grandandrea si svegliò si ritrovò davanti il muso teso in un bacio di un’orsa… e svenne.

Il grande Pieraltro chiese aiuto ad alcuni baldi operatori di una cooperativa non lontana dal luogo ove si svolsero i fatti e col loro aiuto riuscì a caricare l’orsa che dormiva profondamente su di un furgone bianco e portarla in mani sicure che l’avrebbero riportata nel suo luogo d’origine. Il gran cuore della guardia Pieraltro si manifestò ancora in tutta la sua grandezza, allorquando mise tra le zampe conserte del grande mammifero una foto del sorridente Grandandrea per ricordo.

Gian Pietro Barbieri